Da come era scritto non era chiaro chi li avesse fermati. Ad ogni modo non è che cambi la sostanza.
Per quanto invece riguarda i lucciari che rilasciano il vivo dopo la pescata e quindi possono essere responsabili della "fioritura" di colonie cospicue di alloctoni, cosa peraltro possibile ma a mio avviso improbabile in un bacino come il Mincio (che non è un laghetto di montagna o una pesca sportiva), vi racconto una storia: a metà degli anni '70, tre signori della bassa veronese, tutti garisti (uno dei quali anche con altri interessi, economici, nel mondo della pesca) vanno a farsi un week-end in Svizzera, ospiti di un cugino che ha aperto un ristorante in loco, a pescare in un lago non ben definito. Pescano con lunghe fisse e con le bolognesi da riva catturando molti pesci strani che rispondono con frenesia alla pastura da fondo riempita di bigattini (per i quali in zona c'era il divieto o un limite massimo di utilizzo molto basso, ma sono italiani e quindi non se ne curano più di tanto). I pesci strani, di taglia medio-piccola, qualche etto, sono abramidi e blicche. Si divertono e decidono di organizzarsi per portarne un po' in Italia, in un tratto di fiume della bassa veronese stretto tra una cascata e un mulino, tratto di fiume utilizzato per fare gare alla trota (iridee di allevamento "lanciate" ad hoc e pescate quasi tutte in occasione della gara), per farci garette sociali e quella annuale dei "pierini pescatori" in occasione della fiera di luglio, un tratto di fiume zeppo di minutaglia (scardole, triotti, alborelle) ma anche di tinche e carpe, insomma, un corso d'acqua che non ha bisogno di nulla. Ma il fascino dell'esotico, il trovarsi a pescare pesci "nuovi", ha il sopravvento. Così si organizzano. Prendono in prestito un camioncino con due vasche ossigenate da un noto pescicultore della zona. Si fanno mettere dentro un po' di trote e si recano in Svizzera con una bolla di accompagnamento ad hoc e un contratto di acquisto del pesce da parte del ristorante del cugino. Passano la frontiera il venerdì sera senza problemi. Il giorno dopo, sabato, scaricano le trote al ristorante, e riempiono le vasche di breme. A fine giornata saranno circa 120-130 pesci, quasi tutti in buona salute, nell'occasione pescano altri ciprinidi che ributtano nel lago. Dopo cena il ristoratore compila una nota nella quale scrive che rifiuta il pesce in quanto non conforme al contratto e lo rispedisce al mittente. Quindi i tre ripartono per l'Italia belli pieni di breme e, in caso di sopralluogo da parte dei doganieri, sempre che qualcuno di questi sappia riconoscere una trota da una breme, sono comunque tranquilli perché è evidente che non essendo trote non corrispondono all'acquisto e quindi il reso è d'obbligo. Ri-passano la frontiera senza problemi e a notte fonda svuotano il carico nel fiume. Il mattino seguente qualche pesce strano galleggia morto impigliato nelle paratie del mulino. La maggior parte delle breme, però, nuota tranquilla nella sua nuova casa. Siamo a fine maggio, l'anno è il 1974 o 1975. Bene, nessuna breme verrà mai pescata nei giorni successivi, nei mesi successivi e negli anni successivi in quel tratto di fiume (tuttora salvo, visto che per fortuna si pescano ancora triotti & c.) almeno dai tre amici che, increduli, non riuscivano a capacitarsi della cosa. Forse qualche altro pescatore aveva catturato qualcuno degli strani pesci, ma dati certi non ce ne furono e, sicuramente, nonostante si trattasse di diverse decine di pesci, questi non riuscirono a riprodursi o comunque a radicarsi nel corso d'acqua.
La morale, probabilmente non scientifica, della questione è che per far radicare una specie, bisogna buttarne giù tanti e tanti esemplari, a più riprese, non basta una coppia checché ne possa dire Noè.