Bombe chimiche, il male nascosto: la Nato e l’Icram incontrano i pescatori di Molfetta
14/11/2008
MOLFETTA - Dermatiti acute, congiuntiviti, asfissia, ragadi alle mani, tosse, diarrea. Sono questi i mali che ogni giorno affliggono i pescatori molfettesi, dimostrandosi sempre più frequenti e gravi, mese dopo mese. Tutti i sintomi rimandano agli effetti dell’iprite e di altri derivati chimici di origine bellica, e l’alta concentrazione di residui bellici nelle acque territoriali non può che avvallare l’ipotesi. Ma le analisi, miracolosamente, smentiscono tutto.
I prelievi di acqua marina effettuati presso la prima cala dall’ARPA, con la collaborazione della capitaneria e dei pescatori molfettesi hanno testimoniato un’alta presenza di alga killer, ma niente di più.
L’alga killer, però, non presenta insidie di così rilevante portata per la salute, rendendo ingiustificate le denunce dei pescatori. Ciò ha spinto questi ultimi a confrontare i dati con le analisi del Dipartimento di Chimica dell’Università Federico II di Napoli. Dalle analisi è emersa la presenza di lewisite (un agente della guerra chimica, derivato dell’iprite) e di arsenico.
Dopo la notizia apparsa sui giornali, immediata è stata la conferenza stampa indetta dall’ARPA, in cui la Dott.sa Olga Mangone, responsabile delle analisi, ha smentito i risultati pubblicati sulla Gazzetta del Mezzogiorno, minacciando di denunciare il giornale.
Sembra un gioco astuto teso a nascondere ogni potenziale nemico delle comode posizioni delle istituzioni, che hanno trascinato fino ad oggi una catastrofe inabissata per mezzo secolo, fino ad esplodere a partire da una decina di anni fa. Quando le migliaia di bombe e fusti chimici presenti nelle nostre acque hanno cominciato a sprigionare quelle sostanze che oggi hanno completamente mutato l’ecosistema marino, incidendo sulle condizioni sanitarie di pescatori e gente comune, sempre più gravemente.
Continuiamo a mangiare pesce di cui non conosciamo più l’origine, i pericoli, perché tutto sembra oscuro. Decine di specie marine sono estinte, superfici sempre più ampie di fondale sono ormai desertificate, migliaia di bombe hanno appena cominciato a sprigionare sostanze chimiche altamente nocive e tutto ci viene nascosto.
Ieri mattina una delegazione dell’ICRAM con il responsabile Luigi Alcaro, e una delegazione del NURC (NATO Undersea Research Centre) col comandante Rob Cornick, ha incontrato il presidente della cooperativa Pescatori Molfetta, Vitantonio Tedesco.
Dopo aver raccolto testimonianze sui sintomi dei pescatori, immediata è stata l’associazione agli effetti delle bombe chimiche presenti nelle acque che circondano il porto molfettese. Il problema era già conosciuto, ma l’allarme è scattato quando è emerso che le sostanze cominciano a farsi sentire anche nell’immediato sottocosta (dal bagnasciuga alle 3 miglia), a testimoniare che la zona è ormai completamente contaminata.
La vicinanza degli ordigni rende necessarie delle operazioni di monitoraggio di emergenza, non si può continuare ad ignorare tutto facendo leva sull’apparente inconsistenza della situazione. Il fatto di non essere a diretto contatto col mare e con ciò che staziona nel suo fondale, non rende meno distante questo spettro che, giorno per giorno, trova nell’indifferenza il suo incentivo, fino a distruggere ambiente e persone.
Giacomo Pisani
14/11/2008 19.24 - » molfystar - da molfetta -
Per fortuna che dal dopoguerra a oggi, solo AZZOLLINI si è interessato del problema sminamento,infatti grazie al progetto Nuovo Porto, si è reso necessario il monitoraggio e la localizzazione delle bombe presenti in mare. Oggi gli esperti della Marina Militare hanno eliminato varie centinaglia di armamenti vari, ma altri paesi da Barletta a Bari pullulano di armi inesplose. Non mi sembra che Emiliano abbia preso posizioni su questo argomento e tantomeno l'assessore regionale al Demanio, sembra quasi che il problema non gli interessi più di tanto. L'importante è che le bombe non si trovino sulla battigia e che non siano fatte di cemento, per il resto tutto va bene e poi le bombe sono removibili mica strutture fisse.
14/11/2008 19.19 - » Felice Altamura - da Molfetta -
Argomenti che scottano questi. Si potrebbero
discutere per giorni,mesi e forse anche anni,
senza approdare da nessuna parte. Come il cane che si morde la coda. Off limits.
14/11/2008 19.19 - » Enzo Tatulli - da Molfetta -
Mi sono interessato alla questione da almeno vent'anni. Ho scritto molti aticoli ed ho interloquito col Ministero dell'Ambiente (parlo di qualche legislatura fa), con l'Assessore Regionale al ramo e con molta gente influente. Purtroppo sulla questione c'è una cappa che impedisce di fare chiarezza. Tutti glissano. Anche i bene intenzionati, dopo una modesta attenzione, ripassano alla routine e così passano gli anni. E di anni ne sono passati tanti da quando (parliamo del 1946), nella cosiddetta "zona delle munizioni" (che poi sono diverse aree classificate come A-B-C-D e che si trovano ben distanti dalla Prima Cala dove l'ARPA è andata a fare i prelievi per le analisi), furono affondate dagli "Alleati" circa 20 mila bombe all'iprite, lewsite,adamsite,fosgene, mustard gas ecc.. E' lecito pensare che quelle bombe, dopo 62 anni, si stiano aprendo e logica vorrebbe, che le analisi si facciano in quelle zone e non altrove, dove il problema esiste ma è trascurabile. Quello che fa rabbia è che, grazie all'inerzia di infinite schiere di politici e di Governi di "tutti i colori", in 60 anni, non si sia fatto nulla (solo Tatarella nel '94 sottopose la questione all'attenzione degli USA) per costringere gli americani a bonificare la zona, così come avevano fatto nel Mar Baltico e nel Mar del Giappone. Ma il problema non si esaurisce qui !!! Nei pressi della "zona B delle munizioni" (esattamente alla latitudine di 41° 30' Nord ed alla longitudine di 16° 45' Est), il 1° febbraio 1991 affondò, in normali condizioni meteomarine, la m/c Alessandro I con un carico di 3000 tonnellate di dicloroetano e 500 tonnellate di acrilonitrile (materiali cancerogeni). Con 10 miliardi stanziati dal Governo fu effettuato un parziale recupero (come risulta dalle perizie chimiche esistenti)che con la m/c Gennaro Ievoli e la m/c Capo Miseno dovevano arrivare a Gela e Porto Marghera e, per quanto mi risulta (documento della Dogana di Molfetta prot. 4196 e 4197 del 8.10.91), non sono mai arrivate. Anche qui, è lecito pensare che dopo ben 17 anni qualche cosa si stia disperdendo nel mare e che trattandosi di "materiali pesanti", si depositano sul fondo e dilatano nel tempo la creazione di problemi. E di problemi ve ne sono ancora !!! Ci sono le bombe all'uranio impoverito abbandonate durante la guerra in Kosovo con il jetsooning (prima dell'atterraggio di aerei militari al rientro di operazioni belliche) sottocosta,lungo le direttrici che vanno dal Kosovo agli aeroporti di Amendola e Gioia del Colle. E poi c'è il capitolo delle scorie radioattive su cui stanno indagando numerose Procure italiane ed una apposita Commissione Parlamentare. Ma qui, non ne parliamo proprio, perchè la cappa è totale !!! Insomma non vorrei sembrare catastrofico ma i fatti sono fatti. E' da anni che cerco di dare delucidazioni a qualcuno ma finora, nessuno dei soggetti influenti con cui ho avuto a che fare, ha fatto veramente qualcosa.
Di questo passo, nei prossimi 50 anni, a causa della NATO o delle ecomafie o dell'inerzia di politici e del superficiale atteggiamento di tutti, il Mare Adriatico è destinato a diventare una palude. Soprattutto se continuiamo a fare analisi inappropriate in aree inopportune, a non fare mai analisi di radioattività ed a non prendere sul serio, ma molto sul serio, la questione.
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