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cenni di micologia


7 risposte a questo topic

#1 grande orso

grande orso

    Tommy

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  • Localitàvaresotto
  • Tecnica: spinning e mosca
  • Provenienza: castello cabiaglio (va)
  • Anno di nascita:1994

Postato 29 September 2013 - 14:38 PM

Ciao a tutti :) qui di seguito vi propongo un testo (che è stato di fatto la mia tesina di maturità) in cui sono presentati dei cenni sui funghi come organismi e una breve relazione sulla possibilità di utilizzarli come indicatori biologici :)

 

I funghi sono organismi pluricellulari o unicellulari,  che presentano un’incredibile quantità di forme, dai lieviti unicellulari fino ai giganteschi termitomyces.

I regno dei funghi raggruppa organismi accomunati dall’alimentazione eterotrofa per assorbimento dall’assenza di tessuti vascolari e dall’immobilità. Presentano cellule eucaristiche con una parete rigida, costituita da cellulosa, chitina e glucano.

I funghi presentano per la maggior parte una struttura filamentosa. Ogni filamento prende il nome di ifa, mentre la totalità dei filamenti prende il nome di micelio. Il micelio è organizzato in diverse zone, ognuna con una specifica funzione:

 

  • Micelio vegetativo, con funzione di assorbimento e sostegno, che si sviluppa al disotto del substrato
  • Micelio aereo, cioè le ife che si accrescono al di sopra della superficie di crescita

Le ife possono essere di diverso tipo:

  • Settate, cioè costituite da una serie di cellule disposte una di seguito all’altra
  • Cenocitiche, cioè costituite da un’unica massa multi nucleata
  • Con setti perforati, cioè presentano dei canali di collegamento tra le varie cellule che permettono il passaggio di citoplasma da una cellula all’altra.

Per quanto riguarda i metodi di nutrizione possiamo dividere i funghi in:

 

Saprofiti, quelli che si nutrono di sostanze organiche, animali o vegetali, non viventi. Tali funghi, assieme a batteri e ad altri microorganismi, provvedono alla importantissima funzione di degradazione delle sostanze organiche, in modo che i detriti organici vengano restituite all'ecosistema quello sotto forma di acqua, anidride carbonica e sali minerali. L'humus del terreno, costituito da detriti vegetali in tutti gli stadi di decomposizione, rappresenta la fonte di nutrizione di un grandissimo numero di funghi saprofiti tanto macroscopici che microscopici.
Tra i primi possiamo ricordare Agaricus campestris, Lepista nuda, numerosi Coprinus, Panaeolus, Psathyrella, Agrocybe, Macrolepiota, Lepiota, Entoloma, etc.

Parassiti, sono funghi che si nutrono a spese di sostanze animali o vegetali viventi. Gran parte dei parassiti è costituita da microfunghi che possono rappresentare un serio pericolo per le piante, gli animali e l'uomo stesso, essendo la causa di gravi malattie che possono condurre alla morte dell'ospite. Tuttavia, i funghi parassiti sono regolatori del bosco poiché, di norma, attaccano solo le piante più gracili o ammalate migliorando, di fatto, la condizione delle altre essenze presenti nel bosco che così possono utilizzare meglio le risorse a loro disposizione.

 

Simbionti, conducono vita di mutualismo con altri organismi viventi; il micelio entra in simbiosi con le radichette terminali di alberi superiori, arbusti o erbe, stabilendo con esse uno scambio continuo di sostanze nutritive. Il fenomeno, detto micorriza, si realizza per semplice contatto (micorriza ectotrofica, tipica dei basidiomiceti e di taluni ascomiceti). La combinazione è vantaggiosa sia per il fungo che per la pianta poiché quest'ultima si serve del micelio per estendere notevolmente la superficie da cui trarre sostanze nutritive che assumerà utilizzando proprio le ife; ma
vantaggiosa anche per il fungo che riceverà indietro dalla pianta gli eccessi di alimentazione ormai fotosintetizzati, coi quali potrà esso stesso nutrirsi. È stato dimostrato che alberi micorrizati crescono assai più rigogliosi. Per
tale motivo la comparsa di carpofori di funghi simbionti in un bosco ancor giovane prelude ad un sano ed equilibrato sviluppo del medesimo. Sono funghi simbionti i Boletus, le Amanita, i Cantharellus, i Cortinarius, gli Hygrophorus, i Tricholoma, le Russula, i Lactarius, etc.

 

Riproduzione

I funghi si possono riprodurre in maniera asessuata o in maniera sessuata attraverso la produzione di spore, dette endospore, come avviene per la maggior parte di essi. Le spore possono essere prodotte in maniera sessuata, attraverso la fusione di duo o più nuclei, o asessuata senza che ciò avvenga. A seconda del Phylum cui appartengono i funghi che le producono si parlerà di Ascospore (Ascomycota), Basidiospore (Basidiomycota) o Zigospore (Zigomycota).

 

La Riproduzione asessuata  può avvenire per:·        

Scissione: ad esempio nei lieviti, consiste nella divisione della cellula madre in due cellule figlie uguali, con lo stesso patrimonio genetico attraverso la mitosi. I funghi che adottano questo sistema riproduttivo hanno un accrescimento esponenziale.·        

Gemmazione: comune anch’essa nei lieviti, è un sistema in cui le cellule figlie compaiono come protuberanze della cellula madre dalla quale poi si possono staccare diventando autonome o possono restare attaccate formando una colonia; è diversa dalla scissione in quanto in essa avviene una ripartizione diseguale del  citoplasma.·        

Frammentazione: avviene con il distacco di una parte più o meno sviluppata che si accresce in maniera indipendente.·        

Sporogenesi: attraverso un processo mitotico vengono prodotte spore (mitospore), capaci di generare un nuovo individuo, in cellule specializzate (Sporocisti). Le mitospore, protette da una spessa parete, possono essere mobili e flagellate (Zoospore), oppure no (Aplanospore). In alcuni gruppi di funghi vengono prodotte un particolare tipo di aplanospore esternamente alla sporocisti, chiamate Conidiospore

 

Per la riproduzione sessuata è necessaria la produzione di spore di genere diverso, in strutture specializzate e differenti a seconda del Phylum di appartenenza. In numerose specie appartenenti ad esempio ai Phyla Oomycota, Zygomycota ed Ascomycota le spore maschili e femminili si uniscono formando un’unica struttura polinucleata che in seguito alla  fusione dei nuclei (evento che non avviene subito dopo la fusione tra le spore, in cui le cellule fuse si trovano ad avere due nuclei in una fase del ciclo vitale detta dicariote) subisce meiosi producendo spore aploidi, le quali germinano formando nuovi miceli. Nelle specie appartenenti al Phylum dei Basidiomycota la spora di una determinata polarità sessuale se, una volta raggiunto il terreno o il substrato più adatto, nelle condizioni più favorevoli di umidità e temperatura, germina formando un filamento di cellule detto ifa (micelio primario). Per poter completare il ciclo biologico si deve passare al micelio secondario,  per cui è necessario che l’ifa generata da una spora con carica maschile si unisca ad una con carica sessuale opposta. Quando i un micelio i nuclei cellulari, nell’ambito dello stesso citoplasma, hanno un patrimonio genetico simile si parla di omocariosi. Può avvenire, invece, che nello stesso citoplasma siano presenti nuclei geneticamente differenti a seguito di mutazione o di  fusione di ife geneticamente diverse, in tal caso si parla di eterocarios. L’eterocariosi è fondamentale per l’evoluzione dei funghi in quanto garantisce l’opportuno mescolamento del  patrimonio genetico con una conseguente maggior variabilità di specie.

Classificazione:


 

La classificazione dei funghi è molto complessa ma, volendo effettuare un esame dei gruppi principali, possiamo distinguerli in:

zigomiceti, comprendenti oltre 700 specie e rappresentati principalmente organismi saprofiti o parassiti; in questo gruppo è compresa anche la muffa del pane, appartenente al genere Rhizopus. Si presentano dei rami, i fali, che si staccano dal micelio e che portano alla loro sommità gli sporangi, strutture globose di colore giallo-bruno, contenenti conidi;

 ascomiceti, costituiti da oltre 12.000 specie, per lo più di terraferma; la denominazione deriva dalla presenza dell’asco, un organo che contiene le spore, dette ascospore; alcuni sono parassiti o simbionti mentre molti sono saprofiti; fra i più semplici ascomiceti sono da ricordare il lievito della birra (saccharomyces cerevisiae) e quello del vino (S. ellipsoideus), due saccaromiceti che inducono gli zuccheri alla fermentazione in ambiente anaerobio; i saccaromiceti non sono dotati di ife come gli altri funghi, ma si compongono di cellule isolate o disposte in catenelle derivate per gemmazione da una cellula «madre»; fanno parte degli ascomiceti anche i tartufi, funghi appartenenti al genere Tuber che hanno vita ipogea, in particolare come simbionti radicali (micorrize) di numerose piante, soprattutto arboree ma anche erbacee (come quelle del genere Cistus);

 basidiomiceti, comprendenti circa 14.000 specie, costituiscono i funghi più grandi, anche come corpo fruttifero, in grado di condurre una vita da saprofiti, da parassiti o da simbionti; essi producono spore in una struttura detta basidio, rappresentato da una cellula, vagamente cilindrica, che porta lateralmente o superiormente da 2 a 8 spore; i basidiomiceti producono corpi fruttiferi caratteristici, in cui si distingue un gambo, detto stipite, che sostiene una parte superiore allargata, il tipico cappello quando è ancora giovane, il corpo fruttifero può essere avvolto da un rivestimento, detto velo, che si lacera con l'accrescimento del fungo stesso, mentre alcune parti residuali della membrana del velo possono rimanere fissate alla base detto stipite, formando la cosiddetta volva; fra i basidiomiceti sono da annoverare specie molto note, come il porcino (Boletus edulis) e le varie specie di amanite, fra le quali la mortale Amanita phalloides e l’Amanita muscaria.

 deuteromiceti, comprendenti circa 11.000 specie, sono rappresentati da specie che hanno soltanto la forma conidica, cioè asessuale; in questo gruppo di organismi si trovano anche numerosi patogeni per l'uomo e gli animali, soprattutto i mammiferi, ad esempio la Candida albicans , nota anche con il termine di «mughetto», saprofita che vive nel suolo oltre a essere un componente della normale «flora microbica» presente sulla pelle, nella bocca, nel tratto gasxxxntestinale;  fanno parte dei deuteromiceti anche alcune muffe verdi tra cui il Penicillium, queste producono sostanze che inibiscono la crescita di batteri.

 

1.2 Gli indicatori biologici


Si definiscono indicatori biologici quegli organismi che reagiscono in diversa maniera alle modificazioni ambientali, in modo che la loro presenza/assenza ci dia precise informazioni sullo stato di salute dell’ambiente preso in considerazione o su eventuali alterazioni avvenute. Gli indicatori biologici rappresentano quindi un metodo di analisi della qualità

ambientale economico e alla portata di tutti, in quanto dei semplici rilevamenti sul campo, unite a un’analisi che può essere compiuta anche da personale non specializzato, sul numero e sulla tipologia delle specie presenti ci dà informazioni su fenomeni di inquinamento anche passati. Gli indicatori biologici non sono però dotati di capacità analitica, cioè non sono in grado di dire, salvo rare eccezioni, quale sia il tipo di alterazione che ha provocato una deviazione dallo stato di salute ottimale dell’habitat preso in esame. Per questo è necessario, una volta rilevato un fenomeno di inquinamento, intervenire con adeguate analisi chimico-fisiche per appurare la natura degli inquinanti.

Un buon indicatore deve possedere determinate caratteristiche:

  • Deve essere presente in buona quantità nell’ambiente che andiamo a considerare e deve essere facilmente campionabile
  • Deve essere di facile indicazione
  • Deve possedere un ciclo vitale di almeno un anno
  • Durante tutto l’arco dell’anno deve essere reperibile
  • Dobbiamo conoscerne nel dettaglio l’autoecologia
  • Deve essere poco mobile

Gli indicatori biologici in grado anche di accumulare gli inquinanti all’interno dei propri tessuti sono definiti bioaccumulatori. Questi organismi sono spesso all’apice della catena alimentare (in quanto accumulano tutti gli inquinanti dei livelli trofici sottostanti) e possono essere utilizzati per analisi chimiche sulla natura delle sostanze inquinanti.

 

2 I FUNGHI COME INDICATORI DELLA QUALITA’ DEL SUOLO

 

2.1 qualità del suolo e indicatori 

Per qualità del suolo si intende: “La capacità del suolo di interagire con l’ecosistema per mantenere la produttività biologica, la qualità ambientale e per promuovere la salute animale e vegetale” Doran e Parkin, 1994

La qualità ambientale di una determinata area può essere stimata mediante l’utilizzo di un insieme di opportuni indicatori, in grado di identificare caratteristiche diverse che possono avere diverso peso nella valutazione finale. Il suolo è un sistema molto complesso e per questo necessita di un insieme di indicatori per valutarne lo stato di salute. Proprio questa complessità ha in passato limitato la valutazione della qualità del suolo a un aspetto superficiale, e questo ha comportato una perdita di produttività dei suoli di circa il 10% rispetto agli anni ’80, connessa all’inquinamento, all’agricoltura e alla desertificazione scaturita dalla perdita di materiale organico e biodiversità.

Ovviamente non esistono indicatori validi per ogni circostanza, ma il loro ruolo dipende dall’ambiente in cui si trovano: ad
esempio nell’area mediterranea, caratterizzata da un processo di desertificazione in corso legato alla perdita di materiale organico, risulteranno di fondamentale importanza i bioindicatori. 

 

2.2 I funghi come indicatori di particolari caratteristiche del suolo

 

I funghi sono a tutti gli effetti ottimi indicatori biologici. Grazie a numerose analisi effettuate negli ultimi 40 anni ( in particolare legate a quei funghi commestibili di interesse industriale quali i tartufi) è stato possibile riferire a determinati funghi precise caratteristiche del suolo (quali ph, granulometria, sali minerali presenti ecc.)

Alcuni funghi possono essere indicatori di foreste naturali inalterate, mente altri possono indicare il grado di decomposizione dei tronchi. Va però ricordato che è necessario prendere in considerazione tutto il micelio e non solo il corpo fruttifero per considerare i funghi come indicatori. In generale i funghi preferiscono terreni che hanno un ph dal

subacido al sub alcalino, con valori per molte specie vicino alla neutralità. Questo fa si che siano ottimi indicatori di ph, in quanto normalmente i terreni boschivi  hanno valori che si aggirano tra 4.8 e 8, valori perfettamente indicati dalla  presenza di determinate specie di funghi. Ad esempio per quanto riguarda i tartufi (molto studiati grazie al loro valore commerciale) si è arrivati alle seguenti conclusioni: 

1 T. melanosporum preferisce terreni molto ricchi di scheletro con la restante parte costituita da terra fine. Il ph è di   8±0.4.

2 T. aestivum cresce in suoli profondi in media 19cm, con scheletro costituito  da circa il 20% di calcare e per il restante
80% di terra fine (16% sabbia, 56% limo e 28% argilla) con ph medio di 7.7.

3 T. aestivum f. uncinatum invece cresce in suoli profondi 28cm con scheletro costituito al 90% da calcare e al resto da terra fine (28% di sabbia, 56% limo e 47% argilla). Il ph varia da 7.0 a 7.8, a seconda della quantità di sostanza organica presente.

4 T. magnatum preferisce suoli profondi, poveri di scheletro e ricchi di argilla e limo con valori di ph vicini a 8, poco variabili.

Questi esempi mostrano come alcuni funghi necessitino di ben precise condizioni di crescita e siano quindi ottimi indicatori.

 

2.3 I FUNGHI COME INDICATORI DI PROCESSI DI DEGRADO

Alcune specie fungine, con la semplice presenza e quantità dei propri basidiomi, indicano uno squilibrio ecosistemico in corso e possono anche predire con un certo anticipo forme di degrado difficilmente rilevabili in altro modo.

 Ad  esempio Megacollybia platyphylla agisce su superfici molto vaste grazie ai suoi cordoni miceliari e produce basidiomi sui resti legnosi, e la presenza in quantità massicce di questo fungo indica la presenza di notevoli quantità di sostanze azotate nel terreno.

Anche Clitocybe phaleophtalma indica eccessive quantità di sostanze azotate nella lettiera, ma la sua diffusione è puntiforme e quindi l’affidabilità di questa specie come indicatore è da valutare a seconda dei casi. Ad esempio, un accumulo di lettiera in una località con ristagno idrico e bassa ventilazione con massiccia presenza di C. phaleophtalma,
potrebbe indicare un processo di deperimento delle piante di quell’area in quanto l’eccesso di biomassa inibisce i processi di riciclo legati ad altre specie di funghi.

Alcuni funghi, nutrendosi dei prodotti di scarto di altre specie fungine con funzione di degradatori primari,  sono indicatori di processi di degrado che avverranno in futuro, cioè quando fruttificheranno i degrada tori primari che hanno un ciclo molto lungo. Funghi con queste caratteristiche fanno parte del genere Mycena, come M. Rosea.

 

2.4 I FUNGHI COME INDICATORI DI DIVERSITà DI HABITAT

Anche i funghi possono esser utilizzati nello studio e nel monitoraggio della biodiversità di un ecosistema o di un ambiente. A questo proposito l’APAT (oggi ISPRA) ha avviato una serie di studi che hanno permesso di associare le specie fungine nazionali a determinati habitat. Sulla base dei dati disponibili sono stati creati degli elenchi di specie per ciascun habitat in base alla frequenza delle segnalazioni. Le specie caratteristiche differenziali sono quelle che emergono dal confronto con altri habitat, in base a frequenza e presenza. Tali specie rappresentano un primo indicatore per la diversità di habitat, in quanto la loro presenza combinata indica una tipologia specifica di ambiente.

 

2.5 I FUNGHI COME INDICATORI DI METALLI PESANTI NEL TERRENO

Il micelio fungino essendo molto esteso è particolarmente ricettivo nei confronti dei metalli pesanti presenti nel terreno. In condizioni normali alcuni di questi sono essenziali per la crescita del fungo, ma quando si è in eccesso di questi metalli (prevalentemente in seguito ad attività antropiche) i funghi possono reagire in maniera diversa: infatti i metalli pesanti possono, oltre a inibire la crescita di alcune specie, indurre modificazioni morfologiche e fisiologiche in altri. La tossicità di questi metalli è esercitata prevalentemente a livello enzimatico, dove questi possono inibire l’enzima in diversi modi. Inoltre possono alterare la struttura di diverse proteine, causando ripercussioni sul fungo. La cosa più importante però
è che i funghi tendono ad accumulare i metalli pesanti all’interno dei loro tessuti, sono cioè dei bioaccumulatori. Questo fa si che sia possibile utilizzare alcune specie fungine come punto di partenza per analisi chimiche della presenza nel terreno di metalli pesanti.

 

3 I FUNGHI MICORRIZICI COME INDICATORI DELLA SALUTE DELLE PIANTE

 

3.1 Le micorrize e la wood wide web

I funghi che vivono in simbiosi con le radici delle piante formano delle associazioni chiamate micorrize, che interessano circa il 90% delle piante terrestri. I due organismi simbionti instaurano uno stretto rapporto in termini di mutuo vantaggio: i funghi colonizzano la radice senza causare danni e ricevono zuccheri, che non sono in grado di sintetizzare, mentre la pianta ospite riceve nutrienti e Sali minerali assorbiti mediante la grande rete ifale, definita wood wide web.

In relazione alle specie coinvolte si possono osservare differenti tipi di micorrize:

 

1 Ectomicorrize: In questo tipo di associazioni il fungo forma una struttura, denominata mantello o micoclena, che avvolge gli apici radicali. Esternamente ad essa emanano nel terreno ife singole o aggregate in strutture chiamate rizomorfe. Le ife inoltre penetrano verso l'interno fra le cellule dell'epidermide radicale formando un sistema intercellulare complesso, che appare in sezione come una rete di ife denominata reticolo di Hartig. La particolare importanza delle ectomicorrize nel settore forestale è dovuta al fatto che esse interessano la maggioranza delle Pinacee, delle Fagacee  e delle Myrtaceae, mentre da parte dei funghi sono coinvolte circa 5000 specie tra cui troviamo i generi Lactarius, Russula, Boletus, Morchella e Tuber.

2 Ecto-endomicorrize: Possiedono molte delle caratteristiche delle ectomicorrize, ma esibiscono anche una elevata capacità di penetrazione intracellulare. Esse interessano principalmente i semenzali di alcune conifere  soprattutto Pinus spp.) e sono caratterizzate da un reticolo di Hartig piuttosto grossolano, da un manicotto molto sottile o assente, e dal fatto che, soprattutto nelle parti più vecchie delle radici, le cellule vengono invase da matasse di ife

3 Micorrize arbuscolari: sono le micorrize più diffuse in natura, ce interessano circa l’80% delle specie vegetali. In questo tipo di rapporto il fungo simbionte forma all’interno dell’apparato radicale della pianta strutture chiamate arbuscoli che rappresentano il sito in cui avvengono gli scambi nutrienti tra il fungo e la pianta

 

Indipendentemente dal tipo di micorriza, le piante che presentano questa simbiosi mostrano una maggiore crescita, garantita dal maggior assorbimento garantito dalle ife fungine, ma anche una maggior tolleranza a stress biotici e abiotici.

Recentemente è stato dimostrato che gli zuccheri sintetizzati da una pianta possono essere trasportati ad un’altra pianta che sia in simbiosi con lo stesso micelio mediante la wood wide web. Questo fa si che si operi una ridistribuzione dei nutrienti nel bosco, in cui le piante più grandi cedono nutrienti alle piante più giovani aumentando così la loro possibilità di sopravvivenza.

 

3.2 I funghi micorrizici come indicatori della salute delle piante

Le micorrize, oltre a costituire una barriera fisica alla penetrazione dei parassiti nell’apice , producono anche composti antibiotici che rappresentano una barriera contro molti microrganismi presenti nel terreno.

Questi prodotti del metabolismo fungino contribuiscono a migliorare la salute della pianta e forniscono un importante esempio di indicatori biologici, in quanto un apparato radicale di una pianta adulta può essere micorrizato da 30 a 50 specie diverse, ognuna delle quali esprime al meglio la propria funzione in situazioni diverse. Ad esempio Rhizopogon vinicolor conferisce una maggior resistenza alla siccità a piante di Pseudotsuga menziensii, mentre Hebeloma
crustuliniforme
mostra una maggiore efficacia nel mobilitare azoto da sostanze proteiche. In situazioni di deperimento dovute a situazioni ambientali sfavorevoli, la pianta ospite perde progressivamente la capacità di selezionare
i simbionti fungini migliori, a favore di quelli che meglio si adattano alle nuove condizioni ambientali. La variazione della comunità dei simbionti fungini rispetto a una comunità di partenza può essere interpretata come una corrispondente variazione dallo stato di salute della pianta ospite.

 

4 LA RADIOATTIVITA’ NEI FUNGHI

 

Gli studi sugli effetti della radioattività nei funghi si sono sviluppati negli anni successivi all’incidenti nucleare di Chernobyl, per poter disporre di dati precisi sulla presenza di isotopi radioattivi nel terreno. In particolare ci si è concentrati su due isotopi del cesio: il 134Cs e il 137Cs, il primo con emivita di 2 anni e il secondo di 30. è interessante notare che calcolando il rapporto tra le quantità presenti nel terreno di questi due isotopi si può stimare l’età della radiocontaminazione da
cesio. Questi studi si sono concentrati più che altro sulla caratteristica di molti funghi di essere fortissimi bioaccumulatori, e in particolare si sono concentrati sulle specie di interesse alimentare, col duplice scopo di stimare la radioattività presente nel terreno e di capire se fossero presenti specie in grado di accumulare quantità di cesio tali da sconsigliarne il consumo. È bene notare che questo non misura tanto la presenza di isotopi, quanto più la loro biodisponibilità: infatti mentre i terreni argillosi tendono a fissare il cesio, non rendendolo disponibile per gli organismi viventi, mentre nei terreni
ricchi di humus gli isotopi sono più mobili e quindi disponibili. Dopo aver misurato la presenza di isotopi in tantissime specie distribuite in tutta Italia, gli studi si sono soffermati su 2 specie fungine, Rozites caperatus e Cantarellus lutescens, per i seguenti motivi:

  • Sono specie presenti soprattutto nel centro-nord, le zone maggiormente interessate dall’aumento di radioattività (si è osservato infatti che la radioattività nel sud italia è aumentata di circa il 10% rispetto a quella naturale, mentre al nord è quasi triplicata)
  • Sono due specie di grande interesse alimentare e sono tra i migliori bioaccumulatori
  • Sono specie simbionti di piante diverse: C. lutescens cresce sotto pino silvestre, mentre R. caperatus crese sotto abete rosso o sotto faggio. 

I risultati dello studio sono stati interessanti: si sono osservati picchi di radioattività triennale per Cantarellus lutescens, legati al ciclo della decomposizione degli aghi di pino. Inoltre la radioattività andava diminuendo rapidamente, in quanto il micelio di C. lutescens  si mantiene negli strati superficiali del terreno e la radioattività  tende a scendere negli strati più profondi. Per Rozites caperatus si è trovata una presenza di isotopi costante, soprattutto alta negli esemplari simbionti delle piante di faggio. Questo ha portato alla conferma che la radioattività tende a scendere negli strati più profondi del terreno, in quanto i faggi presentano apparato radicale più profondo delle conifere. In ogni caso le misure di radioattività non sono andate oltre i 100.000 Bequerel/kg: una dose consistente, ma non elevetissima: basti pensare che un individuo in condizioni normali assorbe circa 2 milliSv di radiazioni all’anno e questo vuol dire che per raddoppiare la dose di radiazioni assorbite bisognerebbe mangiare 15kg di funghi radioattivi!

 

5 I FUNGHI COME INDICATORI DELLA QUALITA’ DELL’ARIA

 

5.1 I licheni: una simbiosi fungo-alga

I licheni sono il risultato di una simbiosi mutualistica tra un fungo e un organismo fotosintetico (alga o cianobatterio). Il fungo (detto anche micobionte) forma la struttura portante, chiamata tallo, mentre le alghe (foto bionti) sono disposte in uno strato sottile, per meglio compiere il loro compito di fotosintesi. A seconda della struttura del tallo, i licheni sono divisibili in omotallici, se le alghe e le ife sono disposte uniformemente, o eterotallici se le alghe sono presenti in un unico strato ben definito. Il tallo è messo in comunicazione con le alghe da dei prolungamenti di ife chiamati austori. I licheni possono crescere su uno svariato numero di substrati e in quasi tutte le condizioni climatiche, in quanto il fungo
provvede è in grado di ottenere acqua e sali minerali dal substrato o dall’atmosfera in maniera molto più efficiente di quanto farebbe l’alga, mentre l’alga mediante la fotosintesi è in grado di rifornire il simbionte di carboidrati. Inoltre il fungo protegge l’alga dall’eccesso di radiazioni luminose e dalla disidratazione, rendendone possibile la sopravvivenza anche in
ambienti dove la scarsità d’acqua o l’intensità della luce solare ne provocherebbe il disseccamento (come in alta montagna o nei deserti). Altra caratteristica dei licheni è la loro lentissima crescita, in media di pochi mm all’anno.

 

5.2 i licheni come indicatori e bioaccumulatori

Nonostante la loro resistenza alle condizioni climatiche più difficili, i licheni non sono in grado di sopravvivere in ambienti con un’atmosfera alterata, per 5 caratteristiche fondamentali:

1)      Elevata capacità di accumulo delle sostanze presenti nell’atmosfera, in quanto essendo sprovvisti di cuticola e di aperture stomatiche il loro assorbimento si protrae in maniera continua giorno e notte

2)      Resistenza allo stress termico e idrico: la resistenza dei licheni alle basse temperature e alla siccità fa in modo che l’attività metabolica continui anche in periodi invernali o con scarsità di piogge, periodi in qui la presenza di inquinanti in atmosfera è più elevata

3)      Impossibilità di liberarsi degli inquinanti accumulati, in quanto i licheni non possiedono sistemi di escrezione attiva

4)      La longevità dei licheni permette di avere informazioni su tempi molto lunghi

5)      Sensibilità dei licheni agli agenti inquinanti. La presenza di inquinanti provoca una depressione dell’attività foto sintetica, ed è stata dimostrata tramite fumigazione ed esposizione ai vari inquinanti per: anidride solforosa,
idrocarburi, ozono, nitrato di peracetile, piombo, zinco e cadmio, fluoruri. 

I licheni possono essere usati come indicatori degli inquinanti sia come bioindicatori, guardando la  ricchezza
di specie di licheni in una determinata area, sia come bioaccumulatori, sfruttando le tossine accumulate nel tallo. 

 

Bioindicatori

I processi più colpiti dalla presenza di inquinanti sono la fotosintesi e la respirazione, con un possibile danneggiamento della clorofilla, e il flusso di nutrienti tra l’alga e il fungo. 

I diversi inquinanti possono provocare svariati danni, osservabili tramite campionamento:

1)      Riduzione dell’attività fotosintetica

In particolare l’inquinante con gli effetti peggiori sull’attività foto sintetica dei licheni è l‘anidride solforosa (SO2), che ha effetti di 2 tipi:

  • Diretti: danneggia la clorofilla causando una diminuzione dell’attività fotosintetica. In particolare i danni dell’anidride in soluzione aumenta al diminuire del pH della soluzione.        

Indiretti: a causa dell'azione acidificante sulle piogge e nebbie, la SO2 determina la riduzione della capacità tamponante del substrato, la diminuzione del pH del substrato e l'alterazione degli equilibri delle forme ioniche generate dalla SO2 in soluzione acquosa, con conseguenti danni alla clorofilla algale (vedi punto precedente).

 

Anche i metalli possono causare gravi danni ai licheni. Ad esempio in Parmelia caperata, il tallo raccolto a 15 m da una strada al alto traffico, contenente 570 ppm di piombo, ha mostrato una diminuzione della fotosintesi del 54% quando confrontato con un tallo raccolto a 600 m dalla stessa strada, contenente 60 ppm di Pb. Si ha anche un'alterazione nella permeabilità della membrana in licheni contaminati da piombo, con effetti sinergici di tale metallo con lo zinco, l'ozono, l'anidride solforosa. Le particelle dei metalli pesanti sono immobilizzate nel partner fungino e non contaminano il simbionte algale se non quando la concentrazione degli elementi diventa molto alta; perciò la diminuzione attività fotosintetica segnala un livello di contaminazione molto elevato. 

 

2) Riduzione della vitalità ed alterazione della forma e del colore del tallo. Avvicinandosi alle sorgenti inquinanti si assiste ad un progressivo peggioramento delle condizioni di salute del lichene, che si traduce nello scolorimento del tallo e nel distacco di questo dal substrato.

 

3)Riduzione della fertilità. La fertilità dei licheni diminuisce in funzione del tempo di esposizione e dell'avvicinamento alla fonte inquinante. Tale diminuzione si esplica nella riduzione della larghezza degli apoteci e nella loro rarefazione. I licheni che si sviluppano naturalmente per mezzo di isidi e soredi (moltiplicazione vegetativa) sono favoriti nelle stazioni inquinate.

 

4) Diminuzione della copertura delle specie; alterazione della comunità lichenica. Per esempio, partendo dal centro cittadino verso la periferia, la copertura di alcune specie crostose, come Lecanora conizaeoides, cresce fino ad un massimo per poi decrescere in corrispondenza all'aumento di copertura delle specie foliose. Questo comportamento può essere dovuto al fatto che le specie crostose offrono una minore superficie di scambio rispetto alle fruticose e foliose. Si è notato inoltre che le specie più resistenti all'inquinamento hanno una spiccata idrorepellenza nei confronti delle gocce d'acqua, limitando così l'assorbimento delle sostanze in esse disciolte

 

5) Rarefazione del numero di specie nel tempo. Vi sono numerosissimi lavori che confermano la rarefazione dei licheni
nelle zone in cui si è verificato un incremento dell'inquinamento. E' pure stato notato un recupero della vitalità dei licheni conseguente ad una diminuzione dell'inquinamento. Ad esempio è stata segnalata la ricolonizzazione da parte di alcune specie della zona periferica di Londra in seguito alla diminuzione dei livelli medi annui di anidride solforosa.

 

6) Riduzione del numero totale di specie nello spazio.Vari ricercatori si sono occupati di questo problema affrontandolo in periodi e località differenti. Tutti hanno notato che, passando dal centro cittadino alla periferia, vi è un aumento del numero di specie di licheni, indipendentemente dal tipo di substrato considerato.

 

Il passo successivo all'identificazione delle risposte dei licheni all'inquinamento atmosferico è stato quello di quantificare l'informazione fornita dai bioindicatori sulla qualità dell'aria. 

L'Index of Atmospheric Purity (I.A.P.) proposto da De Sloover nel 1964 fornisce una valutazione quantitativa del livello di inquinamento atmosferico basandosi sul numero, frequenza e tolleranza delle specie licheniche presenti nell'area considerata. La formula originale di Le Blanc & De Sloover considera il numero di specie presenti nel rilievo, un fattore di tossitolleranza, la combinazione della frequenza e della copertura delle specie.  Successivamente sono state utilizzate molte varianti di questa formula che danno diversa importanza alle variabili considerate. Recenti studi condotti da una équipe diretta da K. Ammann (Università di Berna) hanno saggiato la predittività di 20 diverse formule I.A.P. rispetto a 8 inquinanti atmosferici: anidride solforosa, ossidi di azoto, cloro, piombo, rame, zinco, cadmio e polveri. Il metodo standardizzato proposto dagli autori svizzeri permette di predire i tassi di inquinamento da dette sostanze con una certezza pari al 98 %; risulta molto interessante per l'alta predittività, per la relativa facilità di esecuzione, per la bassa soggettività ed alta riproducibilità dei dati. Per quanto riguarda l'Italia sono stati effettuati studi nella zona della laguna di Venezia, in alcune valli alpine, presso un cementificio nelle Marche, nelle città di Udine, Roma, La Spezia, ed in aree con insediamenti industriali nell'Alto Vicentino, oltre che nell'intera regione del Veneto.

 

Bioaccumulatori

 Per utilizzare un lichene come bioaccumulatore, bisogna accertarsi che questo risponda ai seguenti requisiti:

1) Alta tolleranza alla sostanza in esame. Questo punto è essenziale se si vogliono evidenziare le punte massime di inquinamento: è chiaro che se un lichene non riesce a sopravvivere proprio in corrispondenza alle concentrazioni più alte di un inquinante, esso è del tutto inadatto come bioaccumulatore.

2) Capacità di accumulare le sostanze esaminate in misura indefinita. Il bioaccumulatore è tanto più buono quanto più

lineare è la correlazione fra presenza di contaminante nell'aria e concentrazione dello stesso nel tallo lichenico. Se, superata una certa soglia di concentrazione del contaminante nell'atmosfera, il lichene non è più in grado di assorbirlo, si perde l'informazione relativa ai massimi livelli di contaminazione.

3) Possibilità, di definire l'età del tallo esaminato. Il lichene accumula le sostanze in relazione alla concentrazione di queste nell'atmosfera e dal tempo di esposizione cui ad esse è sottoposto: a parità di concentrazione nell'atmosfera, risulta più alta la contaminazione nel tallo lichenico più vecchio, sottoposto per più tempo all'inquinamento.

4) Presenza di più esemplari nell'area di studio.Per ridurre le fluttuazioni statistiche dovute a particolari condizioni in cui è stato raccolto il lichene (micronicchia sottoposta a forte dilavamento, esposizione diretta alla luce solare, substrato molto rugoso con trattenimento dell'acqua), si preferisce, dove possibile, raccogliere e sottoporre ad analisi un numero consistente (mezza dozzina) di esemplari della stessa specie per ogni stazione. 

Sfruttando la capacità dei licheni di assorbire ed accumulare i contaminanti persistenti, generalmente presenti nell'atmosfera in bassissime concentrazioni, negli ultimi anni questi organismi sono stati largamente impiegati nel monitoraggio di metalli, radionuclidi, non-metalli come zolfo e fluoro e di composti xenobiotici come idrocarburi clorurati.

Questa metodica è stata impiegata soprattutto in prossimità di sorgenti puntiformi dove, in assenza di flora lichenica

spontanea, possono essere trapiantati licheni raccolti in aree non contaminate; essa non presenta particolari difficoltà in quanto, per le determinazioni analitiche, si fa ricorso alle comuni procedure spettrofotometriche, gascromatografiche o a rilevatori di radioattività. Inoltre presenta il vantaggio di non richiedere conoscenze lichenologiche approfondite, in quanto
il lavoro viene solitamente eseguito su una sola specie.

 

ciao :)

Tommy



#2 Jfish

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Postato 29 September 2013 - 15:48 PM

:gott:
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#3 Copacabana69

Copacabana69

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Postato 29 September 2013 - 17:49 PM

Grazie Tommy.... :klugscheisser:  :respekt: 



#4 duc98

duc98

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Postato 30 September 2013 - 13:05 PM

grande :klatsch:  :2thumbs:


Duccio  :hallo:

#5 Andrea 98

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Postato 30 September 2013 - 14:27 PM

Complimenti gran bell'articolo!!! ;) :)

#6 Fario-CH

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Postato 01 October 2013 - 10:14 AM

:gott:  :gott:



#7 Edoardo

Edoardo

    trote e funghi..che posso volere di più??

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Postato 17 October 2013 - 23:31 PM

Non ho parole ..... Una tesi perfetta ;)
Ex utente Edorica

#8 The Legend

The Legend

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Postato 18 October 2013 - 06:56 AM

:klatsch:


saluti

The Legend



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